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Adozione e attese

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Messaggio Amministratrice »

Ciao a tutte vi riporto un bell' articolo su questo argomento importante, troppo spesso poco sviscerato:

Sono tante le strade che possono portare una coppia a decidere di adottare un figlio. A ben guardare però, le ragioni profonde si riducono ad una sola: il desiderio di un figlio.

Si sente di avere dello spazio in più, si vede una sedia vuota a tavola, si pensa che in quel corridoio potrebbero correre delle macchinine, su quel letto potrebbero starci tante bambole un po' scarabocchiate. Si sente di poter dare se stessi a qualcuno, di poter essere l'universo di qualcuno.
Scattano emozioni mai pensate, ne immaginate quando si desidera un figlio. Emozioni difficili da comprendere quando ci si accorge di essere pronti per un figlio che è già nato da qualche parte, che vive già la sua vita altrove, un figlio che si raggiungerà in un "viaggio" che e' fisico, mentale ed emotivo al tempo stesso.
Così ci si scopre pronti a consegnare la domanda di disponibilità all'adozione al Tribunale dei Minori competente per residenza.
E si inizia a pensare alle proprie disponibilità sull'età, sul numero di figli, sui problemi fisici o mentali, sul colore, tante domande che iniziano a farsi reali dentro di noi e a farci pensare.
Piccolo o grande? Da dove? Che colore avrà? Sono domande che poco importano all'inizio del cammino, o forse no, forse importano più all'inizio che dopo.
E inizia l'attesa, ma di che cosa? Possiamo considerare l'adozione una gravidanza?
Sì, una gravidanza un po' speciale ovviamente, perché la pancia non cresce. Eppure, nonostante l'assenza di segnali fisici evidenti, i pensieri si accavallano e le emozioni ancor di più. Capita di guardare il mondo con occhi diversi, con cuore diverso. Di guardare i bambini che si incontrano e di pensare "Come sarà il mio?" "E se fosse così?" Si inizia ad amare i bambini del mondo perché si sa che nostro figlio c'è, esiste, solo che non si sa dov'è non si sa chi è.
Essere incinta senza una gravidanza. Non avere un figlio nel proprio corpo, ma averlo comunque dentro di sé.
E sognare, sognare facendosi mille idee e immagini.
Tutte immagini che la realtà poi cambierà. Come cambia per chi partorisce, ed il figlio sentito dentro diventa un figlio reale di carne ed ossa fuori di noi.
L'attesa adottiva non ha limiti definiti. Può durare pochi mesi (è raro), può durare degli anni ed in questo caso è molto pesante.
Non sempre le persone vicine capiscono. È un'attesa non riconosciuta socialmente. Non permette di astenersi dal lavoro a due mesi dal parto.
Spesso non si sa neanche quando avverrà il parto. E soprattutto non si sa dove, almeno per un po'.
Ed anche quando poi si conosce la propria destinazione... non è sempre facile spiegare alla collega di lavoro che diventerai madre in Slovacchia, Bulgaria, Cambogia, India o chi sa dove di un figlio già nato, magari grandicello o magari di due fratelli.
Un figlio che aveva una madre all'inizio, ma che poi si è trovato solo perché questa madre non poteva restargli accanto. Un figlio che ora vive in istituto, o in casa-famiglia, comunque non con i suoi genitori.
Un figlio che, magari, da questi genitori è stato tradito, abbandonato, maltrattato o forse amato ma che le circostanze hanno costretto ad abbandonare.
Nell'attesa adottiva, quando si parla, spesso ci si espone alle ansie, alle emozioni profonde di chi ascolta.
Alle loro paure, che poi riecheggiano nel nostro animo, come nostri propri dubbi.
E come sarà allora questo figlio nato da altri?
"Mi amerà davvero? Saprò amarlo? Ricorderà come in un'impronta indelebile il sangue dell'altra che l'ha davvero partorito? Come sarà possibile per me accettare un bimbo con dei ricordi, con una sua storia, con un suo prima.
E l'istituto? Cosa sarà successo lì dentro?
Come avrà vissuto? Lascerà degli amici, dei fratelli?
Saprò accettarlo, magari con un colore diverso, magari con lineamenti diversi? Comunque sia, sarà diverso da me e da mio marito. Non potrò mai vedere gli occhi del mio compagno nei suoi.
Non saprò se diventerà alto come siamo tutti in famiglia, o intelligente come il nonno o saprà dipingere così bene come mia sorella.
Perché non è nato da me. Non avrò mai la pancia per questo mio bambino.
Un bambino non nato da me, un bambino nato da un'altra.
Come potrò spiegare ai miei amici, parenti che ho adottato un bambino?
Cosa penseranno di lui? Come giustificheranno le carenze, se le avrà?
Lo vedranno per sempre diverso? E a scuola? I suoi compagni chissà quante domande faranno? Cosa dirò io agli altri? E a lui?"
Echi, echi profondi di paure e disagio, echi di diversità, echi che accompagnano la paura più vera: "Sarò capace io di essere sua madre?"
Nell'attesa, come nella vita, bisogna essere pronti ad ascoltarsi. Ascoltare il proprio ottimismo, la luce, e le paure, l'ombra.
Bisogna guardare i propri sogni, sapendo che nulla, nulla sarà come lo si immagina. Di una cosa però possiamo stare certi,
tutto sarà incredibilmente più complicato, meravigliosamente più bello di come lo si pensava.
Parola di due mamme adottive in attesa del bis.

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